Capire come conciliare produzione agricola e fotovoltaica in un equilibrio che oggi appare ancora fragile nei progetti di agrivoltaico: questo il tema centrale nel webinar che, il 28 ottobre scorso, QualEnergia.it ha organizzato in collaborazione con Fieragricola, evento che si terrà alla Fiera di Verona dal 4 al 7 febbraio 2026.
L’incontro online (video e slide in basso), dal titolo “Agrivoltaico: come progettare l’impianto, autorizzarlo e gestirlo”, ha visto un confronto tra due progettisti impegnati in prima persona nel costruire e far funzionare progetti agrifv, che sono anche due rappresentanti del settore nel confronto con le istituzioni: Alessandro Visalli, urbanista e progettista, membro del board di varie associazioni delle rinnovabili, e Alessio Pinzone, ingegnere specializzato in agrivoltaico e presidente della neonata associazione Agrivoltaica.
Per fare agrivoltaico non basta qualche ettaro di erba seminata o un progetto di facciata, ha chiarito Visalli nel suo intervento: l’integrazione tra agricoltura e fotovoltaico deve essere reale, continuativa e misurabile, nonché garantita per tutta la vita utile dell’impianto.
Le Linee guida del 2022 lo chiariscono nel requisito B, che impone una “reale integrazione fra attività agricola e produzione elettrica nella vita dell’impianto”. Deve esserci cioè continuità dell’attività agricola, verificabile attraverso la resa economica delle colture — espressa in euro per ettaro o per unità di bestiame adulto — confrontata con la media della zona negli anni precedenti o, in alternativa, con una “zona di controllo” di riferimento.
Questa è la premessa alla difficile convivenza di economie che si muovono su scale diverse. Un impianto fotovoltaico – ha sottolineato Visalli – è un investimento molto costoso, da 650.000 a un milione di euro per megawatt, con ricavi di circa 150.000 €/MW/anno. L’agricoltura, anche nella migliore delle ipotesi, investe 20.000 euro a ettaro e guadagna 6-8.000 euro.
Due mondi lontani, che possono convivere solo se l’investimento agricolo è sostenibile nel lungo periodo e quello fotovoltaico non sacrifica il proprio ROI con Capex e Opex fuori mercato.
Diventa fondamentale garantire il reddito su entrambi i fronti: rendere bancabile e assicurabile l’investimento complessivo e rispettare parametri normativi in continua evoluzione. “Bisogna ridurre i rischi dell’interazione tra le attività – ha spiegato – e assicurarsi che il progetto abbia la capacità di far fronte agli imprevisti”.
Costruire un impianto solido, ha detto Visalli, significa partire da una piena sostenibilità economica della parte elettrica, con costi e rese standard, e solo dopo scegliere una produzione agricola reale, redditiva, organizzata in filiera e possibilmente finanziata in modo autonomo. “Le due produzioni devono essere professionali e indipendenti e nessuno deve fare il mestiere dell’altro”.
Un buon progetto deve anche aiutare a creare indipendenza energetica, garantire la produzione alimentare, aumentare la capacità di ospitare biodiversità e tutelare il paesaggio.
Non si tratta, ha osservato, di costruire un impianto standard, ma un sistema integrato dove ogni scelta – dall’altezza dei tracker ai percorsi dei mezzi agricoli, dai sistemi di irrigazione ai protocolli di sicurezza – risponde a logiche sia produttive che paesaggistiche.
“L’agricoltura deve essere meccanizzata per minimizzare la presenza umana e contenere i costi – ha spiegato Visalli – ma occorre anche una definizione progettuale chiara di tutte le interferenze, una regolazione contrattuale trasparente e investimenti per ridurre consumi di acqua e fertilizzanti, integrando la filiera in modo virtuoso”.
C’è poi la questione critica della gestione dei rischi: “Non possiamo chiedere garanzie milionarie”, ha osservato Visalli.
Pinzone gli ha fatto eco raccontando l’impatto delle clausole contrattuali imposte da molti operatori energetici: “Ho visto decine di accordi con richieste di bond, garanzie milionarie, assicurazioni che sono assolutamente fuori luogo. Dall’altra parte c’è un reddito agricolo che produce 10-20.000 euro l’anno. Non si può chiedere di coprire rischi da milioni.”
Altro nodo è quello operativo. “Bisogna spiegare a un ingegnere che se piove non posso entrare in campo. Non posso pianificare con sei mesi di anticipo un’aratura o una semina”, ha osservato Pinzone.
Altro aspetto spesso ignorato è la formazione del personale. L’agricoltore che lavora all’interno di un impianto agrivoltaico entra in un ambiente industriale in media tensione: chi vi accede deve avere patentini, DPI e corsi di sicurezza specifici. Non basta l’esperienza agricola: servono procedure, permessi, checklist e coordinamento con il responsabile della sicurezza.
Un livello di professionalizzazione che, secondo Pinzone, è oggi fuori portata per molte aziende agricole, già in difficoltà a reperire personale stagionale qualificato.
La convivenza fisica tra le due attività comporta poi rischi diretti: “se entro con un trattore e magari la cabina è stata messa in una posizione sbagliata che mi stringe troppo lo spazio, posso sbattere contro un tracker e provocare danni da decine di migliaia di euro”, è l’esempio fatto da Visalli.
È un rischio assicurabile, ma con costi alti. Quello più grave, però, è un altro, ha ricordato: “Il disaster case è la revoca dell’autorizzazione qualora la produzione agricola non superasse i controlli del Gse. È un disastro da milioni di euro, assolutamente non sostenibile per un’azienda agricola.”
Nonostante le complessità, entrambi i relatori hanno concordato che l’agrivoltaico può essere un’occasione di crescita se si trova un equilibrio tra le due componenti.
“Nel momento in cui l’agricoltore trova qualcuno con buon senso, con cui ragionare e fare l’attività in modo che entrambe le parti siano operative, diventa una grande opportunità”, ha detto Pinzone.
Un’opportunità che passa da progetti industriali, filiere agricole organizzate e modelli contrattuali trasparenti, in cui la redditività di entrambe le attività sia garantita e dimostrabile nel tempo.
Dal webinar è emersa, insomma, una visione pragmatica: l’agrivoltaico non può più essere un’etichetta né una somma di buone intenzioni. Deve diventare un sistema progettato e gestito con rigore, dove la parte agricola e quella fotovoltaica convivono con regole, numeri e professionalità.
A Fieragricola 2026 QualEnergia.it tornerà su questi temi con un workshop, questa volta in presenza
Articolo a cura di Giulio Meneghello - QualEnergia.it