FRANCESCO VINCENZI (ANBI) DETTA LA LINEA A FRONTE DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI.

L’innovazione e la sfida della gestione razionale delle acque coinvolgono anche i Consorzi di bonifica, che nel 2022 hanno tagliato il traguardo dei primi 100 anni di vita, dando esempio di grande modernità. Attività di bonifica e di irrigazione, regimazione delle acque, ma anche investimenti per lo stoccaggio delle acque piovane e sistemi di efficientamento dell’utilizzo della risorsa idrica rappresentano la strada dell’Anbi, anche per evitare lo spopolamento delle aree rurali svantaggiate. Fieragricola Tech, evento dedicato all’innovazione in agricoltura focalizzato sui temi della smart irrigation, delle energie rinnovabili, della digitalizzazione in agricoltura e dell’uso dei biostimolanti per accompagnare il mondo agricolo verso una transizione ecologica sostenibile, ha intervistato il presidente dell’Associazione nazionale delle bonifiche italiane, Francesco Vincenzi.

Presidente Francesco Vincenzi, dai segnali avuti nel corso dell’autunno e dell’inverno, che 2023 possiamo aspettarci dal punto di vista delle disponibilità idrica, naturalmente ad oggi?

«Siamo ancora abbondantemente sotto le medie stagionali, le portate dei fiumi e i livelli dei laghi sono molto ridotti, mentre la situazione è migliore se guardiamo la quantità di neve caduta rispetto al 2022, sia per le Alpi che per gli Appennini. In ogni caso il gap non è ancora stato completamente recuperato e le falde sono ancora poco percettibili. Bisognerà anche per il 2023 tenere la guardia alta, mantenendo una stretta collaborazione con gli agricoltori per pianificare le azioni. Dobbiamo continuare a produrre in agricoltura e la disponibilità idrica è indispensabile. Per questo la sfida è creare una rete di bacini per trattenere l’acqua piovana: oggi siamo all’11% come capacità di stoccaggio, dovremmo arrivare almeno al 35-50% per gestire la situazione dettata dai cambiamenti climatici con maggiore tranquillità».

Francesco Vincenzi – Presidente dell’Associazione nazionale delle bonifiche italiane

Oggi più che mai l’acqua e il suo impiego consapevole sono assolutamente vitali per l’agricoltura. Quali investimenti sono necessari per le imprese agricole e per i consorzi di bonifica? E quali sono le tecnologie e le innovazioni digitali più utili?

«La prima infrastruttura è quella di dotarsi di 10mila laghetti su tutto il territorio nazionale, delle dimensioni che verranno decise dai territori. Occorre ammodernare ed efficientare le reti e ridurre l’utilizzo di acqua in agricoltura. L’esempio vissuto nel settore dell’ortofrutta è emblematico: oggi il 95% della superficie frutticola è servita tramite sistemi di irrigazione di precisione. Questo sta a indicare che le cose si possono fare, non si fanno dalla sera alla mattina, ma è necessario pensare un percorso di efficientamento, perché oggi le tecnologie ci sono. Pensiamo agli impianti tecnologici, di subirrigazione o di irrigazione con aspersione controllata da remoto o da satellite, ai sistemi a rateo variabile installati nei moderni rotoloni per distribuire la giusta quantità di acqua in funzione delle diverse esigenze. Dobbiamo da un lato ridurre l’impiego di acqua e dall’altro soddisfare la risorsa idrica di una più ampia superficie agricola, perché se vogliamo puntare alla sovranità alimentare dobbiamo inevitabilmente aumentare le superfici irrigate. Grazie all’acqua avremo non solo maggiori produzioni agricole, ma anche un territorio più verde, un maggiore mantenimento della biodiversità, territori più attraenti anche dal punto di vista del turismo e del tempo libero».

Se dovesse tracciare una mappatura in Italia degli interventi più urgenti per garantire da un lato la disponibilità di acqua e dall’altro una migliore efficienza nelle operazioni di bonifica, da dove partirebbe?

«Il Paese ha bisogno di tutto. Il tema del trattenimento dell’acqua che al Sud è stato affrontato in modo lungimirante con la Cassa del Mezzogiorno, tanto che oggi lamenta conseguenze della siccità più tardi rispetto ad altri territori. Anche il Sud ha bisogno di potenziare infrastrutture e connessioni, perché molti invasi irrigano superfici molto ridotte rispetto alle potenzialità. Il grande assente è stato il bacino padano, perché se da un lato abbiamo più canali e infrastrutture per distribuire l’acqua, mancano però gli invasi, serve una giusta ripartizione delle risorse e intervenire tempestivamente per evitare che si ripetano situazioni come quella vissuta nel 2022».

Come Anbi avete presentato un piano ambizioso di ristrutturazione e miglioramento delle reti consortili italiane. Come sta procedendo?

«In questo momento abbiamo moltissimi cantieri aperti. Le risorse arrivate sono oltre 3 miliardi di euro tramite il Psr, i fondi di coesione e il Pnrr, che ha dato sicuramente una spinta importante. Il gap infrastrutturale è così elevato che servirebbero risorse per 10 volte tanto. Siamo convinti che col Pnrr e coi fondi di coesione e all’interno della Pac si possano trovare risorse per sviluppare sistemi innovativi di efficientamento e per dare corso al Piano Laghetti per garantire prospettive di futuro al nostro Paese, perché il tema dell’acqua non è solo agricolo. Abbiamo territori che non sono serviti dall’acqua e hanno ancora oggi un sistema di fornitura tramite autobotti.

Come facciamo a evitare, in queste condizioni, lo spopolamento di queste aree?

Il tema dell’acqua va, pertanto, visto all’interno di diverse sfaccettature, partendo dalle priorità definite dalla Legge Galli e che prevedono in primis l’impiego dell’acqua per l’uso umano, poi quello agricolo, poi l’efficienza energetica, ma è chiaro che l’altissima valenza ambientale dei sistemi irrigui è un tema che il cittadino non può sottovalutare. Ecco perché il Piano Laghetti non può essere rinviato. Abbiamo la necessità di stoccare l’acqua per utilizzarla, ad esempio, quando la portata dei fiumi è molto bassa. Perché non possiamo non sapere che è cambiata la piovosità nel nostro Paese: in termini assoluti i millimetri di pioggia sono sempre quelli rispetto al passato, al massimo con una flessione del 10-15%; il tema è, semmai, un altro. Prima eravamo abituati ad avere la pioggia ogni 20 giorni, adesso invece passano anche mesi fra una precipitazione e l’altra, a causa dei cambiamenti climatici che sono già in atto e verso i quali dobbiamo agire e parlare di adattamento all’evoluzione del clima».

L’Anbi ha tagliato il traguardo dei 100 anni della bonifica moderna. Come immaginate il vostro mondo fra 100 anni?

«Innanzitutto l’anno del centenario è stato un momento particolarmente significativo, che ha confermato la modernità del mondo dei Consorzi di bonifica, che non era scontato. Nei primi 100 anni di vita i Consorzi di bonifica hanno saputo affrontare diverse dinamiche, non solo emergenziali, seguendo l’evoluzione istituzionale, tanto che ancora oggi si parla di autonomia differenziata o di elezione diretta. Bene, noi abbiamo visto che alcuni elementi come il federalismo fiscale sono da sempre legati al dna della bonifica. Lo Stato interviene solo nel sovvenzionamento delle nuove opere pubbliche, mentre per il resto vige l’autogoverno, cioè i tributi riscossi sul territorio vengono impiegati per il territorio.

Oggi siamo l’unica risposta ai cambiamenti climatici, alla sovranità alimentare e alla sostenibilità ambientale e il centenario delle bonifiche è servito non solo per dare risposte nella storia, ma anche per dare risposte nel futuro e alle nuove generazioni».

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