Dalla robotica all’intelligenza artificiale, fino alla revisione: le sfide del settore

Dalla robotica all’Intelligenza Artificiale, dal trattore del futuro alla revisione. Fieragricola – rassegna internazionale dedicata al settore primario – ha approfondito il futuro della meccanizzazione agricola, uno dei pilastri della manifestazione in programma a Veronafiere dal 31 gennaio a 3 febbraio 2024, con il professor Domenico Pessina, ordinario di Meccanica Agraria e Meccanizzazione viticola all’Università degli Studi di Milano.

Professor Pessina, quali sono le nuove frontiere della meccanizzazione agricola?

«Automazione e robotica e poi, se ci si vuole spingere più in là, la robotica con applicazione dell’Intelligenza Artificiale. In futuro avremo robot che affiancheranno l’essere umano, ma non lo sostituiranno mai, nemmeno quando al robot verranno conferite capacità di machine learning. Gli statunitensi hanno sintetizzato efficacemente il concetto secondo cui il robot fa il lavoro delle 4D: “Dull, Dirty, Dangerous and Dear”, cioè “noioso, sporco, pericoloso e caro”».

E quali sono le sfide imminenti sulle quali l’ingegneria si sta concentrando?

«Uno dei temi che sta coinvolgendo maggiormente i ricercatori riguarda appunto l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale, con un’attenzione specifica alla questione della sicurezza. Il robot dovrà essere in grado di lavorare a stretto contatto con l’essere umano, senza però creare problemi di sicurezza. Un altro obiettivo sarà la miglior efficienza di intervento dei robot negli apprestamenti protetti e in campo aperto; i due ambiti presentano tipicamente una notevole differenza in termini di variazione di luminosità ambientale, un requisito essenziale per una corretta visione artificiale, che è requisito essenziale per l’individuazione di prodotti agricoli idonei alla raccolta. Altra sfida è poi distinguerli fra maturi e non maturi, maneggiando poi i primi senza rovinarli, specie se destinati al consumo fresco».

Anche al DiSAA dell’Università di Milano si sta lavorando sulla robotizzazione in agricoltura. Su quali aspetti vi state concentrando?

«Una premessa necessaria: il robot agisce in funzione di una serie di sensori interni e di funzioni esterne, come ad esempio quella della geolocalizzazione con il GPS. Diventa dunque necessaria una o più piattaforme di servizi, necessarie al corretto funzionamento dei robot. Come DiSAA dell’Università di Milano siamo partner in due progetti europei, rispettivamente nell’ambito del programma Horizon 2020 (progetto: Metrics, https://metricsproject.eu) e Digital Europe (progetto TEF, https:// https://agrifoodtef.eu). In particolare, il primo studio, ora in fase di chiusura, è stato orientato a mettere a confronto le realizzazioni robotiche, sia a livello prototipale che già commerciale, per il riconoscimento ed eventuale eradicazione delle infestanti rispetto alla coltura da coltivare. Si tratta, nella fattispecie, di un diserbo meccanico pienamente sostenibile, che mira ad ottenere una disinfestazione nella fase più precoce di crescita. Il secondo progetto, partito la primavera scorsa, punta alla creazione di una piattaforma scientifica europea per lo sviluppo di servizi a supporto della robotica nell’ambito agrifood. Il piano ha durata quinquennale e coinvolge istituti di ricerca, università e partner privati, mirando a definire un quadro di riferimento per la diffusione massiva dei robot».

Quando si parla di meccanizzazione green, a livello energetico si stanno palesando diverse soluzioni. Dal suo osservatorio, il futuro in agricoltura sarà del trattore a idrogeno, a metano oppure elettrico?

«Rispondo per punti. Non sono sicuro che il trattore “a idrogeno” – in realtà l’idrogeno serve per alimentare le celle a combustibile, che producono energia elettrica, quindi il propulsore del trattore è elettrico – avrà un fattivo sviluppo nell’immediato futuro. Lo stoccaggio dell’idrogeno, sia nel sito di rifornimento che a bordo del veicolo, pone al momento diversi problemi di sicurezza, specie in un ambiente severo come è quello agricolo.

Ho qualche dubbio anche per il successo del bio-metano quale fonte energetica; i veicoli a metano di origine fossile sono infatti già operativi da decine di anni, ma non sono mai riusciti realmente a diffondersi. Tra l’altro, il metano, e quindi anche il bio-metano, è un carburante che attualmente alimenta motori endotermici, che sono comunque caratterizzati da un rendimento di gran lunga inferiore a qualsiasi motore elettrico.

Rimane quindi la terza opzione, quella del trattore con motore elettrico, alimentato da batterie. Qual è il suo impatto sull’ambiente? Dipende dalla fonte energetica che è servita per produrre l’energia elettrica necessaria alla ricarica delle batterie. Se ad esempio l’elettricità proviene da pannelli solari fotovoltaici, oppure da generatori eolici, l’impatto che ne deriva è sostanzialmente quello relativo alla costruzione, al funzionamento (manutenzione e riparazione) e allo smaltimento degli impianti relativi; se, viceversa, l’energia elettrica proviene da fonti convenzionali, allora l’impatto ambientale è decisamente maggiore. Il Life Cycle Assessment (LCA), ossia l’analisi del Ciclo di Vita, può aiutare efficacemente a valutare adeguatamente tutti gli impatti sull’ecosistema delle varie soluzioni messe a punto.

Se però osserviamo quale direzione sta prendendo il settore automotive, che è sempre in anticipo di qualche anno rispetto alla meccanizzazione agricola, sembra essere proprio la soluzione elettrica quella maggiormente promettente. Purtroppo, ad oggi c’è tuttora un grosso “ma”: in pratica, anche le migliori batterie che hanno raggiunto la fase commerciale non hanno ancora mostrato un’adeguata “densità di energia”, ovvero una capacità di stoccaggio idonea per garantire un’autonomia di un’intera giornata di lavoro pesante di un trattore, tenendo comunque conto che le possibilità di imbarcare batterie da parte del trattore sono notevoli (il peso del mezzo solitamente non è un problema…), ma non infinite. Al momento, per i trattori siamo ancora in “mezzo al guado”».

Quanto tempo ci vorrà, secondo lei?

«Non è facile fare previsioni attendibili, ma ritengo che saranno necessari ancora dai 5 ai 10 anni per poter contare su mezzi in grado di garantire autonomia, potenza e utilizzo duraturo e in ogni condizione di lavoro».

Cambiamo scenario. Secondo alcuni dati, il 37% dello spreco alimentare avviene in agricoltura. Come la meccanizzazione potrebbe ridurre tale percentuale?

«Bisogna innanzitutto focalizzarsi su quali sono i motivi del cosiddetto “spreco alimentare”, che nel contesto agricolo può verificarsi in diverse fasi di una determinata filiera. Tralasciando la coltivazione di un certo prodotto, ingenti perdite possono verificarsi nelle fasi post-raccolta, ad esempio per effetto di sovra-produzione, e/o per patologie che insorgono nel periodo di conservazione, oppure per la presenza di una rete commerciale inadeguata, tutte condizioni che si verificano però dopo la fase di campo.

La meccanizzazione molto spesso incide indirettamente, anche se possono esserci aspetti e accorgimenti che influiscono sul mantenimento o sul deterioramento del prodotto. Sicuramente rispetto alla meccanizzazione incidono maggiormente la genetica, la conservazione, il packaging».

Se parliamo di meccanizzazione, uno dei temi che tiene banco ormai da anni è la revisione dei trattori. Alcuni operatori spingono per adottare il provvedimento, altri sostengono che sia solamente una soluzione di facciata. Che cosa si dovrebbe fare, secondo lei?

«Sarebbe utile partire da una domanda di fondo, che è la seguente: quali dovrebbero essere i parametri e le azioni di controllo per rendere i mezzi agricoli sicuri durante il lavoro di campo e la circolazione su strada, non dimenticando la problematica delle emissioni inquinanti? In altri termini, più schietti: come mettere a punto un provvedimento legislativo che non sia di facciata, ma che effettivamente contribuisca a portare benefici sociali, ambientali e di sicurezza concreti? La premessa è abbastanza semplice, la realizzazione un po’ meno…. Le macchine agricole e il trattore non sono in primis macchine destinate alla circolazione su strada, ma sono mezzi creati per il lavoro “non-road”, cioè fuori strada. Detto questo, una buona parte di essi può comunque circolare su strada. Devono quindi offrire adeguate garanzie sia per l’operatore (e i terzi che si trovano ad operare nel loro raggio di azione) e contestualmente essere sicure anche quando viaggiano su strada pubblica, aperta al normale traffico veicolare. E non si deve dimenticare che rispetto agli altri utenti, stiamo parlando di veicoli lenti e con ingombri notevoli.

Su questo punto, il ministero dei Trasporti e della Infrastrutture è stato chiaro, dichiarandosi disponibile a esaminare gli aspetti di circolazione e demandando a Inail la questione legata alla sicurezza. L’aspetto è ora politico, anche perché non è sfuggito al legislatore e agli operatori che molti mezzi agricoli tuttora operativi non passerebbero la revisione, trattandosi di un parco macchine mediamente molto obsoleto. Il rischio per molti mezzi sarebbe quindi quello di non poter più circolare e spesso di non poter nemmeno più lavorare, perché non idonei alle regole del Codice della Strada e alle norme relative alla sicurezza sul lavoro. Tra l’altro, qualora dovesse partire, la revisione riguarderebbe inizialmente le macchine agricole immatricolate (o immesse per al prima volta sul mercato) prima del 1974, ovvero quelle con una notevolissima anzianità di servizio che, quantunque ben tenute, non possono essere equiparate a quelle attuali in termini di dotazioni (e prestazioni) per ciò che concerne la sicurezza. Se sia urgente sbloccare la situazione di impasse attuale non sta a me dirlo, ma senza dubbio non si può restare indifferenti di fronte a quel centinaio di morti e più che si verificano ogni anno a causa dei ribaltamenti dei trattori agricoli (senza contare i casi, certamente ancor più numerosi, di inabilità grave e permanente). Dove la revisione è già operativa da tempo, dalla Germania all’Austria, al Regno Unito, la situazione è mutata in meglio».

Il ricorso al contoterzismo può ridurre gli incidenti?

«Sì, senza dubbio, almeno in linea di principio. E questo prevalentemente per due motivi. Da un lato i contoterzisti si avvalgono di macchinari di ultima generazione e li sostituiscono spesso, con il vantaggio di avvalersi di mezzi moderni, conformi non solo per i requisiti più elevati di sicurezza, ma anche per la riduzione delle emissioni gassose inquinanti in atmosfera. Inoltre, gli operatori professionali delle imprese agromeccaniche hanno un’età media inferiore rispetto alla popolazione che svolge attività agricola, e utilizzano solitamente macchine sottoposte a costante e scrupolosa manutenzione. Peraltro, il contoterzismo non può risolvere tutti i problemi, perché parecchie lavorazioni agricole sono ancora tipicamente svolte a livello eminentemente aziendale, con il macchinario che è disponibile in loco».

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